Il brand management è l’applicazione delle tecniche di marketing a uno specifico prodotto, linea di prodotto o marca (brand). Lo scopo è aumentare il valore percepito da un consumatore rispetto a un prodotto, aumentando di riflesso il brand equity (valore del marchio o patrimonio di marca). Gli operatori del marketing vedono nella marca la “promessa” implicita di qualità che il cliente si aspetta dal prodotto, determinandone così l’acquisto nel futuro.

Si considera che il brand management sia una disciplina nata alla Procter & Gamble come risultato di un famoso promemoria di Neil H. McElroy.

Un giusto brand management genera un aumento delle vendite, rendendo il prodotto più appetibile rispetto a quelli della concorrenza. Il brand equity è determinato dall’extra-profitto che genera per l’impresa grazie all’utilizzo del brand.

Scelta del brand name

Un brand di successo ha le seguenti caratteristiche:

  • facile da pronunciare
  • facile da ricordare
  • facile da riconoscere
  • facile da tradurre* suggerisce un riferimento all’immagine aziendale
  • attira l’attenzione
  • suggerisce caratteristiche e benefici del prodotto

Tipologie di brand

Esistono diversi tipi di brand, ciascuno dotato di caratteristiche molto diverse.

  • In riferimento all’ampiezza del portafoglio prodotti a cui si riferiscono:
    • mono brand: usato per uno o pochi prodotti, e quindi evocante determinate caratteristiche funzionali del prodotto a cui si riferisce.
    • family brand: riferito a molti prodotti, e che quindi richiama non caratteristiche specifiche (dato che esse sono diverse per ogni prodotto della “famiglia”), ma situazioni emotive o valori astratti.
  • A seconda della distanza dall’identità aziendale:
    • corporate brand: usato sia per i prodotti, sia per richiamare l’immagine dell’azienda e le sue competenze distintive (di solito il marchio stesso dell’azienda).
    • furtive brand: distante dall’identità aziendale, riferibile solo a determinati prodotti.
  • Tipologie “ibride”:
    • brand endorsed: incorpora due marchi appartenenti a due diverse tipologie tra quelle sopra citate. Un esempio è il brand “Mulino Bianco Barilla“, che incorpora sia il corporate brand (Barilla) che il family brand (Mulino Bianco).
    • brand individuali: brand diversi per ogni prodotto.

I prodotti di largo consumo, reperibili nella grande distribuzione organizzata, non usano praticamente mai corporate brands: questi sono impiegati in settori dove i prodotti sono poco o per nulla diversificati, rendendo così sufficiente l’utilizzo del marchio aziendale (si pensi ai distributori di carburante: Agip, Erg…).
Al contrario, nei supermercati, se si escludono corporate brands come Coca-Cola o Pepsi, è più facile trovare furtive brands. La birra Kronenbourg, ad es., è un brand furtive mono: mono perché identifica solo quel bene, furtive perché il marchio dell’azienda proprietaria appare solamente in ridottissime dimensioni sul retro della bottiglia.
Esempi di brand furtive family sono invece i prodotti Findus, un ampio portafoglio di prodotti, sulle cui confezioni non si trova però il logo Unilever.

  • Altri tipi di brands:
    • premium brand: riferito a prodotti più costosi rispetto ad altri della stessa categoria (es. nel mercato del cioccolato, Lindt è considerato un premium brand rispetto a Milka, Novi…).
    • economy brand: rivolto a un segmento di mercato caratterizzato da alta elasticità di prezzo.
    • fighting brand: lanciato per contrastare una minaccia della concorrenza.
    • value brand: quanto una ditta e suoi prodotti è riconosciuta e popolare rispetto alla sua concorrenza.

Politiche di branding

Decisioni di marca

In primo luogo, un produttore può decidere di vendere senza marca, nel caso di prodotti generici (come il sale), oppure applicare un marchio.
In questo secondo caso, le tre strategie fondamentali riguardano l’utilizzo di:

  • marca industriale: è il marchio del produttore stesso.
  • marca commerciale: è il marchio di un privato, del rivenditore o del distributore.
  • brand licensing: vendita dei diritti all’utilizzo di un marchio, per l’uso su un prodotto non concorrente o per una diversa area geografica.
  • co-branding: applicare a un prodotto brand di due diverse imprese, per unirne i target di clientela (es. Citroen C2 Deejay, Peugeot 206 Sweet Years).

Strategie di marca

In secondo luogo, è compito del brand manager decidere quale strategia seguire, a seconda del rapporto tra la marca (nuova o preesistente) e la categoria del prodotto (nuova o preesistente).
Le strategie di marca sono:

  • line extension (estensione della linea): utilizzo di uno stesso brand di successo, per introdurre nuovi prodotti in una linea di prodotto preesistente (cioè il brand rimane lo stesso, ma si “estende” la linea)
  • brand extension (estensione della marca): uso di un brand di successo, per lanciare nuovi prodotti in nuove linee (cioè si “estende” l’uso di un marchio ad altri prodotti)
  • multi brands (marche multiple): sviluppo di uno o più nuovi brands, per lanciare prodotti in una linea preesistente (“multi” perché una stessa linea include più di un marchio)
  • new brands (nuove marche): sviluppo di nuove marche per nuovi prodotti in nuove categorie.

Architettura di marca

In terzo luogo è necessario definire la struttura che organizza il portfolio dei brand detenuti dall’Impresa, stabilendone i ruoli e le relazioni reciproche sulla base delle esigenze competitive di medio e lungo termine. Un’architettura di marca efficace e armonica rende più cristallina l’offerta e favorisce sinergie tra i marchi gestiti. Esistono 3 tipi fondamentali di architettura di marca:

  • Unitary brand: l’impresa si presenta con la stessa marca, e quindi lo stesso insieme di valori, in tutti i mercati cui opera, anche quando essi appartengono a settori merceologici molto eterogenei (es. Apple, Nike, Sony, Virgin, Kodak)
  • Sub-branding: l’impresa associa alla marca corporate una marca di livello inferiore che identifica uno specifico prodotto o una versione del prodotto sviluppata ad hoc. Questa nuova marca permette di attribuire nuove equity alla marca di origine, la quale però deve avere tra le sue potenzialità i valori che la sub-brand esplicita (es. Nestlé: Nestea, Nescafé; Nivea: Nivea Body, Nivea Sun). È un’architettura consigliata nei casi in cui l’Impresa presenta un’elevata differenziazione all’interno dell’offerta per contenuti/target/distribuzione e un’elevata coerenza in relazione alla tipologia merceologica e ai mercati.
  • Brand Endorsement: questo tipo di architettura prevede la presenza di marche forti e indipendenti sostenute da una master brand garante dell’offerta, con un ruolo meno diretto e più secondario rispetto al sub-branding. Il brand endorsement ha inoltre il vantaggio di consentire l’impiego discrezionale del corporate brand in funzione del profilo e del ruolo strategico di ogni singolo mercato. (es. Barilla: Mulino Bianco, Ferrero: Nutella)
  • House of Brands: ogni singola marca del portfolio vive in modo completamente autonomo, identificando un solo prodotto/linea e comunicando una promessa specifica (es. P&G: Ariel, Dash, Ace; Unilever: Svelto, Coccolino, BioPresto). Questa architettura di marca permette di dominare nicchie di mercato attraverso posizionamenti basati su specifici benefici funzionali, e semplifica i processi di acquisizione di nuovi brand.